Sul calendario che quotidianamente consultiamo la primavera è arrivata da oltre un mese, ma in montagna non sempre è così, alle alte quote i calendari non valgono e può capitare di calpestare neve fresca anche a fine aprile. Quando vado in montagna per fare fotografie cerco sempre di avere almeno un compagno, sia per questioni di sicurezza, sia perché è bello condividere questi momenti con qualcuno sempre con uno scopo comune: portare a casa qualche bella foto. Inoltre il più delle volte gli orari sono alquanto inusuali e quindi la compagnia è un modo per farsi coraggio a vicenda.
Quando qualche giorno fa Enrico mi mandò un messaggio dicendomi che avrebbe avuto il sabato libero iniziai a pensare ad una meta interessante ma come capita sempre quando si deve decidere una destinazione, o sono troppe o non ne viene alla mente nemmeno una. Decidiamo ad ogni modo di trovarci sotto casa mia dopo aver pranzato, poi avremmo dovuto semplicemente puntare il dito su di una mappa della zona e partire. Più o meno fu così e quasi per scherzo ci ritroviamo in fondo alla Val Corpassa, al cospetto della Torre Trieste spolverata dalla neve fresca caduta giusto ieri. Tutta questa zona è bellissima e si respira un’atmosfera di grandi pareti, di epiche storie di alpinisti, qui si respira montagna. Tutto il gruppo del Civetta ha qualcosa di speciale, forse perché sono le vette di casa ma anche perché per scoprirne il vero fascino bisogna salire in alto, partendo dalle basse quote delle valli e guadagnando metro dopo metro il dislivello fino su a sfiorarne la roccia, fra una goccia di sudore e un fremito di emozione.
Ci poniamo come prima meta i piani di Pelsa a 1850 metri, oltre il rifugio Vazzoler, dove il bosco inizia a cedere il passo ai grovigli di pino mugo e alla roccia. La salita lungo la mulattiera è sempre piacevole e tornante dopo tornate fa guadagnare rapidamente quota, il panorama ben presto si apre sopra il solco della Val Corpassa. Volgendo lo sguardo all’insù invece è un carosello di guglie, aghi, pinnacoli, tutti con un nome, ognuno con la sua storia: torre di Pelsa, Tridente di Pelsa, punta delle Mede, guglia di Pelsa, Campanile dei Cantoni, Cima del Vescovo, Cima dell’Elefante….tanto per citarne alcuni.
Al pian delle Taie la strada si fa meno ripida e in breve sfioriamo lo storico rifugio Mario Vazzoler al Col Negro di Pelsa, la struttura è ancora chiusa, qui la stagione inizierà a giugno. In corrispondenza della Val del Foram si passa proprio ai piedi della Torre Venezia e da qui si scorgono i moderati declivi del Pelsa, montagna dalla doppia anima: molto docile vista da questo lato, ripida, dura e vertiginosa quando la si guarda dall’opposto versante, teatro della spettacolare e verticalissima ferrata che ne risale la parete nord ovest, la Fiamme Gialle alla Palazza Alta inaugurata il 14 giugno 1981.
Giunti alle Case Favretti siamo ancora in buon orario, in questa stagione il tramonto giunge verso le 20:00 e quindi dopo una rapida consultazione decidiamo di proseguire oltre. Qui speravo di trovare qualche bella macchia di crochi, ma la siccità dei mesi scorsi è stata veramente deleteria e rischia di compromettere anche i mesi a venire. Qualche puntino bianco qua e là, rarissime corolle solitarie che nulla hanno a che vedere con le praterie di crocus tanto ricercate per le fotografie di paesaggio primaverile. L’idea è quindi di salire in alto, allontanarsi un po’ dalle pareti al di sopra delle nostre teste per poterle fotografare meglio, e soprattutto ci stuzzica il fatto che più avanti ci aspetta la neve.
Attraversato l’ameno pascolo ci inoltriamo nel bosco intercettando alcuni bolli rossi sulle rocce, il sentiero CAI 562 inizia qui. Una traccia molto evidente, varco provvidenziale fra il groviglio di rami e radici dei pini mughi che prosperano incontrastati, ci accompagna fino a farci mettere le suole degli scarponi nella neve fresca e vergine.
Ogni tanto volgendo lo sguardo alle nostre spalle le pareti del Civetta troneggiano in un meraviglioso ed inusuale contesto, in particolare la torre Venezia e la più alta cima della Busazza avvolte da un turbinio di nuvole ci danno l’energia per andare avanti certi di un tramonto interessante.
La progressione non è difficoltosa e mai faticosa, ma la traversata del Colón è lunga e in questo tratto ci si alza appena di pochi metri, fino a giungere nel punto dove il sentiero volge decisamente a sinistra, attorno ai 2100 metri. Qui ci concediamo una piccola pausa per fare il punto della situazione: mancano circa un paio d’ore al tramonto e poco alla vetta della Palazza Alta, ormai a vista d’occhio. Decidiamo di raggiungerla, sicuramente da quella posizione che già conoscevo grazie ad alcune escursioni precedenti saremo veramente battaglieri con le nostre reflex. La neve si è fatta più croccante ed anche la temperatura, siamo in ombra da un bel po’ e per nulla al mondo mi fermerei qui. In alto splende il sole, un buon motivo per proseguire. In breve giungiamo alla tabella segnaletica, ultimo bivio che indica la via per la vetta, assecondiamo il sentiero di sinistra tralasciando la traccia che serve da rientro per chi è salito dalla ferrata e sceglie di riguadagnare la valle scendendo per il Trói dai Séch, un infido canalone detritico da evitare in caso di pioggia e di maltempo.
La neve è abbondante e gli alberi sono addobbati a festa con una moltitudine di scintillanti ghiaccioli che pendono dai rami, decisamente freddo. In compenso il panorama è mozzafiato.
Sulla cresta la vista straordinaria si apre sulla Valle del Biois, in lontananza si scorge la Marmolada, con il Sasso Bianco a precederla e le Cime d’Auta al suo fianco, più a nord il corollario di monti nella zona del Giau con il Cernera, i Lastoi di Formin e le guglie della Croda da Lago. Una moltitudine di cime, un elenco di nomi tutti riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Anche la Palazza Alta è un degno testimone delle Dolomiti UNESCO, inserita nel sistema 3 che comprende Pale di San Martino, San Lucano, Dolomiti Bellunesi, Vette Feltrine, rappresenta l’ estremo prolungamento a sud del gruppo Civetta Moiazza. Una zona poco frequentata dalla massa, un territorio naturale ricco di fauna selvatica che qui vive indisturbata, fra i piccoli paradisi delle Dolomiti che ci auguriamo rimanga tale.
Proseguiamo lungo la dorsale che sovrasta a picco l’abitato di Cencenighe Agordino, i canaloni colmi di neve precipitano verso valle regalandoci alcune visioni che definirei adrenaliniche.
L’ultimo tratto ci regala un paio di passaggi sulla roccia gelata, dobbiamo fare molta attenzione ma aiutandoci con i rami dei mughi che mai tradiscono superiamo questi ultimi salti e finalmente in prossimità della vetta il caldo tepore dei raggi di sole ci accoglie, l’emozione è sempre tanta, un’altra piccola conquista, per taluni insignificante, per altri un’impresa, per noi una soddisfazione!
2255 metri la nostra quota, 1120 più in basso il nostro punto di partenza…una bella scarpinata che non era stata assolutamente programmata, ma è bello anche così!
Ci guardiamo attorno, beviamo qualcosa, osserviamo facendo attenzione a non calpestare troppo la neve vergine, il primo piano in fotografia è molto importante e va curato, inutile e dannoso quindi violare quel magico pianoro punteggiato da rocce. Proviamo qualche scatto fra nuvole che corrono e raggi di sole che si fanno spazio fra esse. Il freddo si fa sentire e c’è un leggero venticello che ne acutizza l’effetto: gli zaini, la maglietta appoggiata ad asciugare sopra un sasso, l’attrezzatura stessa in breve si coprono di cristalli di ghiaccio, l’umidità nell’aria è veramente alta. Faccio fatica ad inserire i filtri digradanti nel portafiltri, le mani sono gelate e nonostante i guanti non riesco a scaldarle, lascio parlare il paesaggio, non ci sono parole per descriverlo, per fortuna ho la fotografia che mi aiuta a farlo.
Ad un tratto mi accorgo che all’orizzonte si materializza la mia ombra circondata dai colori dell’arcobaleno, si tratta del raro fenomeno conosciuto come Spettro di Brocken, fantastico! Mi affretto a fotografarlo nella speranza di catturarlo al meglio, non è una cosa che accade tutti i giorni: la mia ombra, un arcobaleno di colori attorno ad essa e la Moiazza come sfondo.
Qui le opportunità fotografiche sono veramente tante, il panorama è a 360 gradi verso l’Agner e le Pale di San Lucano, oppure volgendo l’obiettivo verso il Mont Alt de Pelsa che si stacca come un bastione affacciato sulla Val Cordevole, o anche girando il capo verso il cuore del Civetta e la valle sottostante che ne percorre la base. Enrico ed io ci diamo da fare, ognuno immerso nei propri pensieri, cercando di dare ad ogni click la nostra personale impronta, il nostro marchio di fabbrica. Questa è la magia della fotografia, quella che in un attimo fa passare la stanchezza e fa dimenticare la fatica necessaria per arrivare sulla vetta, ora è il momento di essere concentrati e creativi.
La nebbia arriva a farci visita proprio nel momento epico, quando il sole cala dietro le creste e le rocce di fronte a noi dovrebbero caricarsi della luce dell’enrosadira…
…disdetta! Sia mai che tutto finisca proprio ora!
Il freddo aumenta e l’ombra incombe…ci apprestiamo a rientrare, l’orologio segna le otto passate e tutta la discesa sarà per forza al buio.
Ma come spesso accade, quando sembra che il sipario sia stato calato un rapido squarcio fra le nuvole ci concede il bis regalandoci le ultime, potenti immagini, proprio quando la cintura di Venere tinteggia il cielo di un fortissimo colore rosa, pochi minuti prima di cedere il passo all’oscurità.
Decido di fare le ultime foto utilizzando due filtri Raymasters, un ND 8 per allungare il tempo di posa cercando così di sfumare il movimento delle nuvole, ed un filtro graduato per bilanciare la luminosità del cielo, GND 8 soft è l’ideale. Riesco a portare il tempo di scatto a 30 secondi.
Non c’è più vento quindi sono certo che la mia reflex montata sul treppiede sarà stabile….click!!
Ecco la foto, l’ultima foto della serata, quella che più mi piace: “l’ultima neve in rosa” scattata dalla Palazza Alta il 29 aprile 2017, con le poderose pareti di Civetta e Moiazza ed uno splendido cielo rosa shocking ma quanto di più naturale ci possa essere per chi conosce la montagne e il significato di attardarsi in alta quota fino al tramonto ed oltre.
Percorriamo a ritroso il sentiero di salita oramai al buio. Ringrazio Enrico per avermi fatto compagnia in questa ennesima escursione in montagna, ci salutiamo ad Agordo dopo aver trovato l’unico locale aperto per mangiare un panino ed una meritata birra…pochi minuti prima della mezzanotte, quasi come un’oasi nel deserto per poi riprendere entrambi la strada delle rispettive case.