“Qui l’impresa più laboriosa, se non la più ardua, non è la scalata delle cime, bensì l’approccio. I valloni che s’internano nel gruppo sono delle vere forre rocciose, impervie e impraticabili, spesso profondamente scavate dal torrente a guisa di oscuri corridoi tortuosi, larghi appena qualche metro, a salti, a cascatelle, limpide pozze d’acqua, mulinelli, ponti naturali…i fianchi delle valli sono ripidi e dirupati e solcati sovente da piccoli e insospettati canali rocciosi, che hanno passaggi obbligati, il tutto ricoperto da una fittissima vegetazione di mughi rigogliosi e ingarbugliati, che impegnano chi ha la disgrazia di capitarci in mezzo in fiere battaglie di carattere dochisciottesco.”
Così scriveva Ettore Castiglioni sulla rivista mensile del CAI nell’anno 1936, e così si susseguono le minuziose descrizioni di sentieri e cime di questo gruppo nella monografia “Monti del Sole e Piz de Mezodì” curata da Pietro Sommavilla e Luca Celi con varie collaborazioni (Fondazione Giovanni Angelini – Centro Studi sulla Montagna, Belluno, 2014)
Considerato che queste montagne mi danno il loro buongiorno ogni mattino mentre faccio colazione osservandole dalla finestra di casa mi son detto che era ora di conoscerle meglio. Vi voglio quindi raccontare la mia prima uscita in queste zone pienamente convinto che a questa ne seguiranno altre.
Generalmente non mi faccio scoraggiare dai dislivelli, se non rispetto i tempi previsti dalle relazioni, magari li raddoppierò, partirò molto prima, l’importante è arrivare. In questo caso non mi sono fatto scoraggiare nemmeno dalle descrizioni, dove si parla di passaggi esposti e sentieri introvabili, scelta la meta me la sono studiata per bene attraverso le relazioni, mi sono fotocopiato le pagine che la riguardano e ho consultato le mappe, il progetto Monti del Sole ha inizio.
Per la prima escursione mi sono lasciato ispirare dal titolo dell’itinerario suggerito da Giuliano Dal Mas nel volume Dolomiti Insolite 2 “Val dei Salèt, mondo abbandonato” (G. Dal Mas, Dolomiti Insolite 2 – L’avventura continua, Casa Editrice Panorama srl, Trento, 2010) e integrato con le relazioni del libro sui Monti del Sole sono partito di buon ora dal piccolo villaggio di San Gottardo, nei pressi della Certosa di Vedana, alla volta di Case Salét. L’itinerario scelto si addentra in profondità in questa valle selvaggia e la risale per la sua interezza sino alla forcella del Sass de Peralòra (o forcella de le Canevuze).
Già dopo pochi minuti di cammino lungo la stradina che si stacca a fianco dell’antico ospizio di Case Salét (422 m) mi rendo conto di essere prossimo ad entrare in un paradiso nascosto agli occhi dei visitatori più frettolosi e mai avrei immaginato uno scenario così grandioso, un vero tuffo nella natura, quella più vera senza tutti i comfort a cui le Dolomiti classiche ci hanno abituato. Pareti verticali a picco sulla stretta valle, sentiero privo dei classici segni di vernice bianca e rossa, traccia a tratti insicura. Più volte mi sono trovato con gli appunti in una mano e l’altimetro nell’altra cercando di capire dalle descrizioni la mia posizione. Il mio pensare piacevolmente disturbato solo dal gorgoglìo delle piccole cascatelle fra i sassi del rio Salèt. Spunti fotografici ogni dove hanno contribuito ad allungare i tempi, ma considerato di avere tutta la giornata davanti e di essermi comunque preso per tempo non mi sono lasciato scappare quell’acqua limpida e cristallina che scende a salti fra sassi, pozze e cascatelle, esattamente come descritto dal Castiglioni.
Giunto al punto in cui un grande masso incastrato sbarra il sentiero una freccia incisa sul tronco (uno dei rari segni che comunque vanno di volta in volta interpretati) mi invita a superarlo. Con due facili passaggi di arrampicata lo risalgo e proseguo sempre costeggiando impareggiabili pareti di roccia lavorate a buchi e a fessure. Di tanto in tanto qualche segnale testimonia vagamente l’antica presenza dell’uomo: vecchi ricoveri di pastori, spiazzi di carbonaie o segni di bivacchi lasciati da cacciatori. Il sentiero a volte chiaro e ben visibile scompare e mi ritrovo a percorrere il greto del fiume.
Non ho tenuto conto dei tempi ma ora la relazione mi dice di essere alla confluenza Val de La Mussa e qui inizio ad alzarmi verso sinistra prima per traccia e poi attraverso il bosco fino ad una bella e panoramica cengia. Ecco che finalmente riesco a scorgere il verde pianoro dei Salèt e mi rendo conto di averne fatta di strada!
Vista dal basso questa valle non la si riesce ad immaginare, ma ora che sono giunto fin qua mi rendo conto che è un continuo susseguirsi di emozioni man mano che mi addentro in questo paesaggio mutevole, dal bosco di tassi a fondovalle ho appena superato una stupenda faggeta e più su saranno i pini mughi a farmi compagnia.
La cengia è veramente esposta e molto panoramica e mi porta ad un pianoro dove la verticalità della Palazza si mostra in tutta la sua bellezza, filtrata da qualche albero che non mi permette di scattare belle foto. Proseguo e mi porto ben presto ai 1026 metri del Col de La Stua e qui rimango stupito nel trovare un vecchio muro a secco, ruderi di una vecchia casera. Un tempo questi boschi erano fonte di sostentamento per le genti del fondovalle, ora agonizzano, abbandonati a se stessi e alle regole del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Le zecche hanno colonizzato questo territorio e nelle ore precedenti ho cercato di limitare i danni rimuovendole spesso dai pantaloni rigorosamente chiari che indosso, spero che la soluzione a base di citronella che ho spruzzato prima di partire funzioni e che nessuna di queste fastidiose compagne di viaggio abbia voglia di attaccarsi al mio corpo.
Procedo diritto sul crinale e risalgo la traccia invitante che mi porta in breve in alto, all’uscita del bosco. Poi ecco i primi dubbi e i primi problemi nell’individuare la via di salita. Qualcosa non mi torna e quanto descritto dalla relazione non corrisponde più con ciò che ho davanti. Mi lascio guidare dai rami tagliati forse lo scorso autunno fra i pini mughi e ad un tratto trovo uno spezzone di nastro bianco e rosso da cantiere avvolto al tronco di un albero. Avanzo a tentoni ma sono certo di non essere sulla strada giusta, anzi….non sono proprio su una strada bensì su un costone di lóppa (erba secca e scivolosa) e intricati pini mughi. Continuo a salire tenendo la direzione del canale tutto a sinistra dove scende la Val del Bosch Nero. Il canale è a tratti impraticabile se non arrampicandolo, quindi mi tengo a distanza e lo risalgo più o meno alla sinistra orografica finché non scorgo le guglie dei Pizet e la relativa forcella. Arranco sul ripidissimo pendio e so che questa non potrà di certo essere la via del ritorno, quindi si delinea già l’ipotesi di compiere l’intero giro proposto dal Dal Mas per giungere alle Rosse passando per la casera di Nusieda Alta.
Finalmente con tanta fatica mi porto alla forcella e riesco a fermarmi un attimo per prendere fiato. Però il mio obiettivo è il Sass di Peralòra che si trova un po’ più in là, oltre il colle. Scendo nel bosco e cerco di individuare il sentiero che è citato trovandolo ben presto, lo percorro in salita e le gambe accusano lo sforzo fatto prima. Il bosco si dirada e finalmente ecco sotto di me comparire una visione superba sul lago del Mis e di fronte il Pizzocco ancora innevato. Più in alto ecco la caratteristica roccia detta la Testa sul crinale della forcella de le Canevuze. Mi ritrovo per l’ennesima volta battagliero in mezzo ai mughi perché punto dritto alla meta, forse troppo dritto ma me ne accorgerò poi in discesa. Giunto sotto a questo caratteristico roccione mi fermo ad ammirarlo, mi chiedo cosa ci faccia qui, piantato su questa forcella, struttura incredibile ed ennesima meraviglia della natura e della montagna.
Mi ristoro seduto su un sasso e mi godo il caldo sole primaverile e il panorama incredibile sulla valle del Cordevole e valle del Mis, lo sguardo si spinge fino alle alture delle Prealpi, ultimi baluardi di confine prima della pianura.
Scatto alcune foto consapevole che l’orario non è dei migliori, quanto vorrei essere stato quassù all’alba!!!! Cosa improponibile se non con un bivacco in quota.
Inizia la discesa, molto più agevole della salita visto che su questo versante è ben segnalata con bolli rossi e omini di pietra, direzione Casera di Nusieda Alta (968 m). Il sentiero in alcuni punti è franato e la traccia si interrompe bruscamente per ripartire qualche decina di metri più in basso. In breve raggiungo ad una spettacolare ampia cengia che attraversa a metà le pareti sovrastanti e permette di portarsi oltre il crinale.
La casera di Nusieda Alta è ora ben visibile più in basso adagiata su un verde colle, scoprirò più tardi che un vero prato inglese tagliato di fresco la circonda. Il lago del Mis si mostra a spicchi e in particolare l’area di Pian Falcina dove sorge l’area pic-nic.
Quasi quasi da quassù mi par di sentire il vociare della gente accorsa in valle aprofittando della giornata festiva, ma mi godo comunque la mia posizione privilegiata in quota.
Nei pressi della casera trovo due escursionisti, unici rappresentanti del genere umano incontrati da stamane all’alba, e siamo ormai a metà pomeriggio. Scambio due chiacchiere, loro sono di ritorno dal Tornón de Peralòra, conoscono bene la zona e hanno al loro attivo più di qualche cima qui nei Monti del Sole. Spiego il mio itinerario e mi guadagno un passaggio in auto per recuperare la mia lasciata a San Gottardo, mi risparmiano certamente alcuni chilometri di asfalto che non ambirei a percorrere una volta giunto a valle. Li precedo di poco nella discesa, il sentiero è a tratti comodissimo, ma presenta alcuni punti molto insidiosi soprattutto nel superare la Val Carpenada dove alcuni passaggi sono stati resi più agevoli dalla presenza del cordino di acciaio e di una scala metallica. La traversata alterna tratti in discesa ad altri in salita e risulta piuttosto lunga, mantenendosi comunque varia nel paesaggio. Finalmente in vista delle case delle Rosse Alte riposo qualche minuto e poi in auto proseguo alla volta di San Gottardo.
Inutile dire che la soddisfazione e il senso di appagamento sono immensi per aver portato a termine un bellissimo giro ad anello in ambiente molto selvaggio e fin’ora a me sconosciuto. Ben presto avrò modo di scrivere ancora su questo magnifico gruppo di montagne.
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