Le Dolomiti Friulane sono fra le zone più selvagge e meno antropizzate dell’intera area dolomitica, al contrario di altri luoghi più conosciuti e molto frequentati, invasi da un turismo di massa a volte irrispettoso che rischia di compromettere l’esperienza di chi invece si approccia con amore e passione alla montagna. Qui il rischio è l’opposto: i rifugi sono pochi e le strade di accesso si fermano ai fondovalle o si addentrano appena oltre per poi lasciare spazio a fiato, gambe e fatica per raggiungere le mete prefissate, si cammina molto e si incontra poca gente per gran parte dell’anno, sempre fra impagabili scorci di naturale bellezza.
Mi piacerebbe poter approfondire ancor di più la conoscenza di questi luoghi per cui a volte mi capita di voltare le spalle a Civetta, Pelmo, Tofane, Pale di San Martino per scendere a valle…e poi risalire alla loro scoperta.
Era da tempo che avevo in mente un posto molto particolare, uno di quelli che conservano un peculiare fascino primordiale, un luogo da scoprire con lentezza. Avevo trovato qualche anno fa sulla rivista del CAI (Montagne 360 di Aprile 2015) uno splendido articolo dal titolo “Il Landri Scur, grotta da leggenda” a cura dello speleologo Filippo Felici, inutile dire che mi feci un appunto nella mente e nell’infinita lista di posti da vedere. Ben lungi dall’essere speleologo avevo intuito un grande potenziale fotografico anche solo fermandosi sotto la volta della grotta, un’arcata alta 20 metri e larga altrettanti. Finalmente cogliendo l’occasione di un giro in Valcellina per alcune foto ho trovato il tempo di andarne alla ricerca. Sapevo che nel giugno 2016 era stato inaugurato un nuovo sentiero di accesso e che quindi era molto più semplice arrivare alla grotta; senza quel sentiero il rischio di vagare a vuoto in mezzo ai boschi ai piedi del monte Resettum sarebbe stato molto probabile. La zona è compresa nei confini del Parco Naturale Dolomiti Friulane pur essendo fuori dai confini geografici delle Dolomiti: ci troviamo infatti nelle Prealpi Carniche, nella catena del Chiarescons-Cornaget-Resettum.
Lasciato quindi alle spalle l’abitato di Claut mi tuffo nella valle percorrendo la strada che in breve arriva al piccolo borgo di Lesis, da qui nei periodi estivi la strada diventa a pedaggio, in inverno invece qualche centinaio di metri oltre il ponte la strada diventa impercorribile in quanto punto di partenza di gran parte degli itinerari scialpinistici della zona. Visto il periodo non trovo nessun impedimento e procedo lungo la rotabile che si addentra in uno splendido bosco di faggi. Dopo un andamento abbastanza regolare la strada sale con una serie di stretti tornanti sulla destra orografica della valle per poi diventare sterrata in un tratto pianeggiante a picco sul letto del Cellina. Seguo le indicazioni per Casera Casavento, poco prima del parcheggio il guado a secco del Pian de Cea mi regala uno splendido scorcio sul gruppo del Cornaget.
In breve arrivo al capolinea, lascio l’auto e scorgo la tabella segnavia del nuovo sentiero CAI 962 per il Landre Scur, sentiero che dolcemente attraversa il pianoro virando verso destra. Lo seguo ed in breve mi ritrovo sul versante opposto della valle in un bosco perfetto: il verde primaverile è a momenti accecante, si sente solo il canto del merlo e del cuculo che sicuramente mi staranno osservando appollaiati su qualche ramo. Nei tratti più insidiosi i tracciatori hanno costruito dei ponti con tronchi di legno e pietre incastrate, un lavoro certosino realizzato grazie a fondi regionali da Comune e Parco naturale delle Dolomiti friulane affinché la via di accesso ad uno dei gioielli nascosti del parco possa essere fruibile da tutti.
Dopo una mezz’ora di cammino il sentiero abbandona il suo andamento docile e si inerpica con una serie di zig zag puntando diritto ad una grigia falesia, nel silenzio del bosco si può udire lo stillicidio dell’acqua che sgorga dalla roccia. Questo tratto richiede un po’ di sforzo fisico in più ma la meta è vicina. Un’ altro ponte permette di superare una cengia a destra e poi si riprende con andamento più costante nel bosco. Approfitto per scattare alcune fotografie a questa splendida foresta di fogliame verde scintillante, una moltitudine di luce enfatizzata dai raggi di sole che filtrano qua e là fra i rami. Ci vuole qualcosa di magico per rappresentare al meglio questo angolo di paradiso, una doppia esposizione in camera potrebbe fare al mio caso, l’attivo dal menù della 5D mark IV a cui sto facendo fare i primi giri e le prime foto…click!
Riprendo il cammino e finalmente eccomi all’imbocco della grotta, a quota 1113 metri. Proprio come l’avevo immaginata, enorme, possente e splendida apertura nella montagna. Sembrerebbe che un tempo le sorgenti del Cellina fossero quassù, oggi sono localizzate più in basso. Facile comprendere come questo luogo abbia ispirato molte leggende e credenze popolari. Qualche secolo fa si narrava infatti che questa fosse la porta d’accesso ad un passaggio nascosto nelle viscere del monte Resettum, una via che metteva in comunicazione la valle di Claut con quella adiacente di Andreis. Altre notizie qualche secolo dopo accennano a tesori della Chiesa nascosti qui per proteggerli dalle razzie dei popoli invasori. Le esplorazioni documentate iniziano invece negli anni ’60 ed hanno portato fino ad oggi a oltre 4 chilometri di sviluppo. Da parte mia, pur non nascondendo la curiosità di vedere cosa ci fosse oltre lo stretto passaggio sul fondo della grande volta d’ingresso, mi sono limitato alla parte fotografica proprio qui, giocando con luci, ombre e silhouette. Situazione non semplice da gestire vista l’estrema gamma di luminosità, praticamente dal nero puro al bianco puro.
Ho dovuto scegliere di fare più esposizioni quindi ho attivato il bracketing di 7 esposizioni per evitare di avere le alte luci bruciate e non leggibili e allo stesso tempo poter avere un po’ della luminosità della grotta che il mio occhio era in grado di percepire, con una singola esposizione anche la reflex più evoluta non sarebbe stata in grado di coprire l’ampia gamma dinamica della scena.
Inoltre sfruttando al massimo i vantaggi che le reflex moderne offrono ho attivando il wi-fi e ho connesso il mio telefono alla fotocamera in modalità live view con la app Camera Connect di Canon. In pratica ho avuto il tempo di comporre la scena assicurando la reflex al treppiede, portarmi sopra la grande roccia e posizionarmi nel punto esatto nel quale la mia silhouette risaltasse nel controluce, tutto guardando la scena finale sul display dello smartphone. Una volta convinto dell’inquadratura e della posizione ho scattato! E’ proprio il caso di dire “beata tecnologia!”
Ecco uno dei luoghi in grado di lasciare dentro qualcosa di grande: fascino, emozione e soddisfazione, un altro tassello unito agli altri nell’infinita mappa delle montagne.
Per approfondire suggerisco questi articoli riguardanti il Landre Scur presenti sul web:
Esplorazioni al Landri Scur di Filippo Felici
Landre Scur dal blog di Escursionilunapiena