Esplorare, cercare, scoprire…spostarsi osservando ciò che ci circonda sia che lo facciamo in un bosco, in collina o lungo la cresta di una montagna. I nostri occhi osservano mentre il cervello lavora per visualizzare già la scena finale una volta racchiusa in un rettangolo di pixel, ecco che noi diventiamo i veri protagonisti del “click” prodotto dall’otturatore che catturando la luce dà vita alla nostra fotografia.
Mi voglio allacciare a questo concetto, che rispecchia il mio modo di fotografare il paesaggio, perché a volte mi chiedo se valga la pena spendere energie quando la fotografia di massa non ha più personalità, e soprattutto quando alcune persone stanno perdendosi parte del fascino che vive in essa.
Un’immagine non sarà mai fine a se stessa perché dietro vi è tutta una fase di studio e di realizzazione in grado di fare la differenza.
E tutto deve iniziare per forza di cose nella scelta del luogo dove fare fotografie, la location per gli anglofoni a tutti i costi.
Invece spesso fra i commenti che seguono una foto messa in rete si legge
“dove?”,
“posso sapere il luogo di scatto?”,
“è di questi giorni la foto?“,
il tutto spesso al fine di andare a ripetere la foto tale e quale.
Chiedere è lecito, rispondere è cortesia però con la conseguenza di regalare una facile scorciatoia all’interlocutore, privandolo di quei momenti magici che iniziano dall’esplorazione per giungere alla scoperta e all’interpretazione della scena secondo il proprio occhio fotografico. Sui social network vi è una moltitudine di immagini che appaiono e scompaiono nel giro di poche ore bruciate in un turbinio di like e cuoricini. Molte immagini sono pressochè uguali, si differenziano unicamente per la luce ma rimangono del tutto simili per quanto riguarda la scelta del punto di scatto e soprattutto nella composizione.
Alcune raggiungono il confine estremo della NON fotografia. Sono quelle immagini realizzate al computer, dove l’autore non trovando la condizione di luce sperata, pur di recuperare in qualsiasi modo i chilometri percorsi a vuoto rielabora pesantemente quei pochi scatti stentati che ha portato a casa creando degli scenari fantasy che nemmeno la Disney oserebbe proporre in un suo film di animazione.
Ma quindi la scelta del luogo, lo studio della luce, l’occhio, la fantasia, la creatività vera, quella che si realizza “in camera” serve ancora?
Delle volte arrivo in certi luoghi proprio quando Dio li ha resi pronti affinché qualcuno scatti una foto.
(Ansel Adams)
Così recita una frase di uno dei maestri della fotografia, ed è indescrivibile la felicità che si prova quando riusciamo a scattare la “nostra” fotografia, quella che tutti vorrebbero avere nel proprio portfolio ma che noi abbiamo fatto per primi e che potrà essere solo copiata.
Queste mie riflessioni non vogliono essere un modo per sminuire le fotografie scattate in luoghi famosi. Un’immagine delle Tre Cime di Lavaredo piuttosto che un tramonto a Manarola, una bella foto del lago di Carezza o una cartolina della Val di Funes sono sempre gradite e in genere funzionano molto meglio di un dettaglio della cima che nessuno conosce. Inoltre ad esempio nel caso di collaborazioni con agenzie fotografiche o con l’editoria è sempre una sfida, seppur fra cento fotografie dello stesso luogo, proporre la propria ai fini della scelta magari per una pubblicazione importante. Però vorrei proprio fare una netta distinzione fra la fotografia fatta per documentare un luogo e quella dove il fotografo si sente libero di esprimere la propria fantasia e creatività, due modi diversi di agire seppur con lo stesso strumento: una reflex fra le mani.
E dopo questo lungo pensiero più o meno condivisibile vi voglio mostrare uno dei miei ultimi scatti dove secondo me gli ingredienti di cui ho accennato sopra ci sono tutti: l’esplorazione, la scelta del momento più opportuno, un po’ di fantasia nel cercare una composizione ed una situazione d’impatto. Il risultato personalmente mi soddisfa e mi sono pure divertito nel realizzarla, spero sia coerente con quanto detto.