Bivacco “Bedin” sulle Pale di San Lucano – Dolomiti

Le Pale di San Lucano sono montagne diverse. Si entra e si esce in un mondo totalmente a parte. Su queste Pale, “imperiosamente superiori alle Marmarole, alle Civette, ai Burèl”, sono state salite cime imprendibili e senza nome, oltre le tracce dei boscaioli, lungo le cenge più estreme, le pareti e i diedri più grandiosi delle Alpi calcaree, i pilastri impossibili, all’inferno e ritorno.

(Ettore De Biasio, Pale di San Lucano, Luca Visentini editore, Cimolais 2004)

Prima, Seconda e Terza Pala viste da Taibon AgordinoLe Pale di San Lucano incombono vertiginose su chi le osserva dal basso, sia dai versanti sud e sud ovest di Taibon Agordino, sia percorrendo la statale che nel solco del Cordevole va da Agordo a Cencenighe Agordino e solo guardandole da quest’ultima località i loro versanti nord appaiono più docili e meno ostili a chi intenda salirle. Questa è la vista che mi ha accompagnato tutti i giorni durante la mia infanzia, così le vedevo dalla finestra di casa scrutandone i profili.
In particolare sul pianoro sommitale della Prima Pala di San Lucano sorge il bivacco Bedin (m. 2210). La tradizionale struttura a semibotte presenta un corpo aggiunto nel quale vi è un’accogliente e panoramica veranda, una struttura splendida e ben mantenuta posta in un pianoro punteggiato da fioriture variopinte fra l’erbetta, tale da meritare l’appellativo di “bivacco più bello delle Dolomiti”. Il discreto dislivello per raggiungerlo -si tratta infatti di 1337 metri di salita- non scoraggia gli escursionisti e il luogo è assai frequentato, nei periodi estivi specie nei fine settimana si rischia di trovare il “tutto esaurito”, nonostante i 9 posti letto disponibili.
Rinunciare a trascorrere qui la notte sarebbe però un vero peccato: il tramonto, l’alba, la magia del luogo invogliano la permanenza, dal ciglio del pianoro si scorge oltre lo sperone roccioso chiamato Corno del Bus la vita frenetica di Agordo, 1600 metri più in basso, lassù invece regna la pace e il tempo sembra fermarsi.
Approfittando di una pausa infrasettimanale ho deciso di ritornare al Bedin dopo 10 anni. La mia ultima visita risaliva infatti al 2005 ma ricordo di aver fatto pochissime foto e di aver compiuto l’intera escursione in giornata. Precedentemente ero stato al bivacco nel lontanissimo 1987 ma a quel tempo eravamo molto giovani e nello zaino avevamo un carico di lattine di birra, la fotografia non era ancora nei miei pensieri e l’approccio alla montagna era diverso nonostante mi vien da pensare che affrontare i 1400 metri di dislivello per andare a fare bisboccia sulla Prima Pala di San Lucano fosse comunque un metodo alternativo e salutare, al rientro di certo avevamo già sudato tutti i liquidi accumulati. Questa volta zaino fotografico con la solita dozzina di chili di materiale e la compagnia di mio nipote Alberto che aspetta da tempo di rovesciare il punto di vista, prima dal basso ed ora finalmente dall’alto di quelle silhouette oramai famigliari.

Il ponte di legnoCAI 764Abbiamo scelto il mese di luglio nonostante il caldo eccezionale di quest’anno, ma il temporale del mercoledì aveva portato clima un po’ più fresco e soprattutto un cielo quasi settembrino.

Partiamo il venerdì nel primo pomeriggio da Pradimezzo seguendo il sentiero CAI 764 che si stacca fra le case dello storico villaggio. La salita in mezzo al bosco si rivela piacevole con tratti in ombra e comunque su un versante particolarmente ventilato in questa stagione, il primo impatto sul ponticello in legno poco oltre vecchia frana risalente al 1966 ci emoziona, senza quel manufatto il percorso sarebbe molto più complicato attraversare il Rù del Tòrcol.

Malga d'Ambrusogn

In breve giungiamo alla ristrutturata Malga Tòrcol ma tiriamo dritto senza indugio. Nei dintorni delle vecchie malghe abbandonate vegetano erbacce e soprattutto ortiche che anche qui hanno trovato terreno fertile riducendo il sentiero sempre ben segnato ad un viottolo, l’impressione di dover proseguire in fretta si è confermata al ritorno quando abbiamo avuto lo spiacevole incontro con una vipera sibilante che ci sbarrava la strada.
Poco prima del più accogliente pianoro di malga Ambrusogn si incontra una generosa sorgente e il rifornimento è facilitato da un grazioso nàf (caratteristico tronco scavato nel suo interno). Rabbocchiamo tutte le bottiglie che abbiamo perché oltre non incontreremo più fonti d’acqua. In realtà sulle relazioni è segnalata acqua nel tratto che dalla forcella della Besàusega giunge al bivacco, ma forse in occasione delle piogge la fonte risulta sufficiente, noi abbiamo trovato solo i sassi umidi e ricoperti di muschi ma nulla a che vedere con una sorgente.
Un ultimo strappo e facciamo pausa alla malga Ambrusogn, ambiente rustico e arcaico. Qui un tempo c’era vita e i pastori accompagnavano fin quassù le mucche al pascolo estivo. All’interno si respira odore di affumicato e si scorge ancora chiaramente il focolare circolare dove era posizionata la caudiéra (l’enorme pentolone dove veniva scaldato il latte per la produzione del formaggio). La malga può ancora fungere da bivacco di emergenza essendo comunque sempre aperta e in buono stato, su di un soppalco vi è un tavolato dove poter dormire, all’interno troviamo il libro dei visitatori.

Sulla porta di ingresso campeggia una poesia che riassume perfettamente cosa fosse questo luogo un tempo:

La poesia

Sei tanto bella malga d’Ambrusogn

sei in mezzo fra lo Spiz di Mezzogiorno e La Palazza

e tutto intorno hai il Mul e anche il Piavon

dalla forcella di Gardes scende l’aria fina

e una polenta dura si lascia mangiare facilmente con il formaggio e anche la ricotta

a guardarci attorno ci prende la nostalgia

di un tempo quando c’era l’allegria

quando i campanacci suonavano rumorosamente

e si sentivano i pastori cantare

quando si vedevano le “mede” (?) che facevano quelli di Taibon

che han voluto questa montagna in cambio di un barile di aringhe affumicate

Salendo sotto le Cime d'AmbrusognCi congediamo da questo tuffo nel passato e proseguiamo, mancano ancora 500 metri di dislivello e ci ritroviamo a metà pomeriggio con il sole che picchia sulla schiena. Siamo a 1700 metri di quota e qui il bosco si congeda lasciando posto alla roccia, la salita prosegue a zig zag lungo il largo canalone fra il Mul e le Cime d’ Ambrusogn e la forcella rimane ben visibile là in alto. Alberto una volta intuito un buon punto di osservazione ha preso il via aspettandomi in cima mentre io sono salito più lentamente, trovo la scusa del peso sulle spalle e mi rendo sempre più conto che fotografare in montagna con un corredo professionale richiede questo sacrificio in più, nonostante io cerchi sempre di ottimizzare il peso scegliendo materiali leggeri e tralasciando cose inutili.

Verso la forcella della Besàusega
Nello zaino stavolta oltre al cambio e alla sacca d’acqua più qualcosa da mangiare ho 3 ottiche: zoom EF 70-200 f/4 L IS USM, grandangolo EF 16-35 f/4 L IS USM e l’inseparabile EF 24 f/1.4 L II USM per le foto notturne, treppiede (il Manfrotto BeFree in alluminio, se fosse stato in carbonio avrei risparmiato altri 300 gr ma comunque 1 chilo e 400 è accettabile per questo tipo di escursioni), i filtri con il kit per usarli e 4 batterie. Il corpo macchina (Canon 5D Mark II con il 24-105 f/4 L IS USM montato) lo tengo davanti, in una custodia della Lowepro (la Toploader Pro 70 AW II) agganciata agli spallacci con due moschettoni. Ho cambiato di recente metodo di trasporto e questa nuova configurazione mi consente di distribuire in maniera più omogenea il peso e di avere la reflex sempre pronta allo scatto, il suggerimento di un amico fotografo è stato provvidenziale in questo caso e la schiena ha gradito.

Una volta vinta la forcella della Besàusega la visuale si apre sull’altro versante: questo angolo di Dolomiti lo definirei idilliaco, il verde terrazzo erboso contrasta di netto con il vertiginoso canalone sottostante, il Boràl de la Besàusega, vera prova di forza e di resistenza per chi decide di salire al Bedin da questo accesso assai ardito.

L'impressionante vuoto dalla forcella della BesàusegaLo sguardo è rapido dal panoramaDa qui il proseguo del sentiero che taglia quasi in orizzontale sotto le Zìme sembra particolarmente esposto ma percorrendolo la prospettiva cambia e si apprezza in particolare la vista sull’ Agner che svetta oltre la cresta della Seconda Pala. I panorami lasciano senza fiato, grandiosità, immensità, imponente verticalità che ci fa sentire veramente piccoli quassù. In breve assecondando le anse del tracciato giungiamo felici ed appagati alla nostra meta finale dove abbiamo il piacere di incontrare altre due coppie di escursionisti che condivideranno con noi il soggiorno in quota.

Il tempo di organizzarci e il tramonto da il meglio di sé verso le pareti del Civetta e della Moiazza. Anche l’Agner non è da meno e continuo a scattare foto finchè il buio non prevale.

Ultime luci sull'AgnerIn prima fila per il calar del sole

Il tramontoAmmirando il tramonto sulle pareti di Civetta e Moiazza

Nel frattempo il clima è cambiato e la temperatura è piuttosto fresca, un chiaro invito a ripiegare nell’accogliente veranda del bivacco chiacchierando attorno al tavolo a lume di candela prima di stenderci per la notte. La stanchezza ha avuto il sopravvento e nonostante tutto ho rinunciato alla sessione notturna, l’indomani sarà ancora impegnativo e quindi mi godo il meritato riposo.

Il bivacco Bedina al crepuscolo

La sveglia suona alle 4:00 e dalla finestrella del bivacco si intravedono già le prime luci, il tempo di riorganizzarmi e scendo dalla branda, pochi minuti dopo io e Alberto siamo già fuori. L’aria è fina e il cielo fin troppo terso per la fotografia, ma di certo lo spettacolo non mancherà. Verso la Moiazza infatti i colori si fanno più vividi con il passare dei minuti. Nel frattempo anche gli altri si sono svegliati, forse contagiati da noi non si vogliono far mancare lo spettacolo dell’alba.
La luce sull’ Agner cambia continuamente e il cielo vira dal viola al rosa fino all’azzurro quando i primi raggi di sole giungono ad illuminare la vetta, è come se qualcuno avesse acceso un candela, poi pian piano ne dipinge le rocce, sempre più giù lungo la mitica parete nord.

Il risveglio del gigante: l'Agner Ammirando l'alba dalla Prima Pala di San Lucano La conca agordina ancora dorme Colori vividi prima del sorgere del sole

Mi sono reso conto che la Moiazza è enorme rispetto alle Pale e la luce fatica a spuntare da dietro tentando di filtrare fra le alture del Framont e i monti alla destra del passo Duran. Poi ecco che i primi caldi raggi arrivano a baciare pure il bivacco. E con il saluto del sole il nuovo giorno è ufficialmente iniziato.

Statua del Cristo nei pressi del bivaccoDopo la colazione ci congediamo dagli amici incontrati lassù, io e Alberto decidiamo di puntare alla Seconda Pala di San Lucano (m. 2340). Non avevo letto le relazioni sul percorso, ma la visita a questa montagna mi è stata caldamente consigliata più volte quindi sarebbe stato un peccato farsela mancare.

Silhouette nei pressi di forcella Besàusega

Raggiunta a ritroso la forcella della Besàusega cerchiamo di capire dove sia il sentiero, ma una traccia ben battuta si blocca oltre il prato, sotto una parete rocciosa di circa 20 metri. Ecco il passaggio alpinistico citato nelle guide. Nulla di preoccupante, ma posto proprio all’inizio del percorso, un modo naturale per scoraggiare gli impreparati. Del resto non ci sono altre vie e quindi pian piano risaliamo il salto di roccia ben appigliato giungendo nel pianoro sovrastante. Da qui la traccia si perde ma di tanto in tanto con il giusto ritmo vi sono degli ometti di pietra che scandiscono la progressione e ci troviamo in breve alla base del monte San Lucano dove ricompare il sentiero, un solco disegnato dagli escursionisti negli anni che taglia il ripido pendio erboso assecondando ogni rientranza delle pareti, il Campanile della Besàusega poco più in basso ci accompagna lungo il percorso. Di tanto in tanto siamo rapiti dal panorama sempre superlativo, la vista si apre verso il fondovalle e verso i Monti del Sole.Panorama verso sud

Il punto chiave si trova in corrispondenza del collegamento fra il monte San Lucano e la Seconda Pala ed è chiamato Passo del Ciodo, una stretta cengia ci accompagna ad un intaglio a “V” fra le rocce, e con nostra sorpresa superiamo agevolmente un passaggio altrimenti molto difficile. Sotto di noi un anfiteatro di rocce e sfasciumi in un paesaggio lunare dove si perde il contatto con il mondo.

Oltrepassato il Passo del Ciodo

La meta finale è a vista d’occhio ma ci vorrà ancora un po’ di tempo per raggiungerla. Tratti rocciosi si alternano a prato con un andamento assai irregolare per evitare le macchie di rigogliosi pini mughi che ricoprono il terreno. Talvolta camminiamo sul versante del Boràl di San Lucano, poi il sentiero salta oltre la cresta e ci riporta sul versante della Besàusega. Raggiunta la sommità della Seconda Pala esulto felice e rimango qualche minuto in solenne silenzio ad ammirare quanto mi sta attorno. Il sole è già alto ma una condizione particolare dovuta alla foschia del fondovalle e contrariamente al solito a una buona limpidezza in quota mi permette di scattare alcune immagini che mi danno parecchia soddisfazione. La successione di vette e vallate verso sud è incredibile, guardandole se ne può assaporare l’anima rude e selvaggia.

Dalla Schiara ai Monti del sole nel selvaggio blu

Ci concediamo una buona oretta di ristoro e poi ci incamminiamo a ritroso per il rientro. La discesa è sempre più dura della salita e arrivo a Pradimezzo assai stanco ma felice, una due giorni su queste montagne rigenera il corpo e lo spirito….il prossimo appuntamento con questi luoghi sarà per compierne l’intera traversata, spero di riuscirci presto.

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